Una storia di una paziente con dermatite atopica

5 novembre 2020 – Sono Beatrice, vivo a Venezia, ho 38 anni. Dai ricordi di mia madre, ho iniziato a soffrire di dermatite atopica all’incirca all’età di 6-7 anni in concomitanza con problemi respiratori (attacchi d’asma). Fortunatamente l’asma si é sempre manifestata in occasioni circoscritte ( ambiente troppo polveroso, sforzi legati all’attività fisica o risata incontrollabile prolungata), di conseguenza sono sempre riuscita a tenerli sotto controllo grazie ai farmaci o alla prevenzione. Purtroppo lo stesso non é stato possibile con i problemi dermatologici

I miei genitori, dipendenti pubblici dell’azienda ospedaliera nella mia città, mi hanno sempre portato dai migliori medici del settore, spesso spostandosi anche di comune o addirittura regione. In qualche modo mi sentivo rassicurata dal fatto che i miei , lavorando in un ospedale, avrebbero trovato il medico che mi avrebbe curata. Quando mi diagnosticarono la dermatite atopica inizialmente la cura si atteneva al classico iter: creme cortisoniche, antistaminici e lozioni idratanti. Se inizialmente questo tipo di cura procurava un miglioramento, una volta sospesa la situazione precipitava nuovamente. Nel tempo è stato un susseguirsi di creme, lozioni, farmaci e diete. Tutti tentativi a volte utili ma nella maggior parte fallimentari. Ripensando alla mia vita con la DA posso dividerla in due fasi: Da da bambina e DA da adulta.

Da bambina , se a casa potevo vivere la mia situazione senza dovermi preoccupare più di tanto, é stato la mia vita sociale a subirne le conseguenze. Nei periodi di riacutizzazione ero sottoposta ad un grande stress psicofisico , a tratti difficilmente gestibile se si pensa che ero davvero piccina. Lo stupore degli altri bambini al vedere il mio viso arrossato, gonfio, le mia mani piene di piaghe o il mio collo rinsecchito, lo potevo giustificare seppur bambina. Ma lo sguardo schifato degli adulti , cercando di soffocare la curiosità : ma è contagioso?

Ma la difficoltà a vivere la mia vita “normalmente” non si limitava solo al giudizio degli altri. Ricordo un episodio in particolare. Frequentavo il conservatorio e spesso avevo difficoltà ad inclinare il collo per suonare il violino ma in quell’occasione la pelle del collo era così secca da formare una crosta enorme che al minimo movimento si spaccava facendolo sanguinare. Ho dovuto assentarmi per lunghi periodi dalle lezioni, rinunciare allo sport o ad altri eventi che potessero rappresentare un momento di condivisione con gli altri. Mentre da bambina non avevo di che preoccuparmi della mia famiglia e degli impegni , nella DA da adulta la mia situazione si é trasformata in un grosso problema. Dal punto di vista lavorativo infatti il fatto che potesse presentarsi uno sfogo più o meno importante ha sempre costituito un grande ostacolo. Sia quando ero dipendente sia quando ho gestito un’attività in proprio. La paura di esser colta all’improvviso da orticaria, prurito, gonfiore, è sempre stata una Spada di Damocle nel programmare il mio lavoro.

In 30 anni di dermatite atopica ho visto molti medici, dermatologi e allergologi. E ho subito molti errori medici, soprattutto per quanto riguarda l’indagine allergologica . Quello che più mi ha fatto soffrire é la mancanza di empatia del medico con un soggetto atopico quale ero io. Con rammarico anzi mi é capitato di trovare dei medici che mi hanno trattata con superficialità , spesso senza ascoltare le mie impressioni su quello che stavo vivendo , come se l’esperienza del paziente, le sensazioni o le sue impressioni fossero secondarie rispetto alle loro conoscenze mediche. La DA é una malattia cronica che può avere anche lunghi periodi di remissione , ma quando invece I lunghi periodi sono di riacutizzazione le conseguenze fisiche me soprattutto psicologiche sono estremamente gravi. Personalmente non saprei dire se nel mio caso la DA sia causata di problematiche psicologiche-psichiatriche o viceversa , ma nella mia vita non ho ancora trovato un medico che abbia sentito la necessità di indagare questo aspetto , se non altro per curarlo. Ho notato che manca la curiosità scientifica e umana necessaria sia a ricercare le cause , sia a sapere cosa stia provando a livello emotivo il paziente. Attualmente sono in cura presso l’ospedale di Padova che mi ha iniziato alla nuova terapia e la DA é sensibilmente migliorata.

Tuttavia mi permane la sensazione di essere “malata”. Infatti tale percorso non é per nulla semplice: in primo luogo perché non mi viene elargito il farmaco dall’ospedale della mia città, ma devo regolarmente spostarmi in un altro comune . Inoltre non é privo di effetti collaterali che mi costringono a dover far uso di altri farmaci.

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