Melanoma, meno metastasi cerebrali nei pazienti trattati prima con l’immunoterapia

Madrid, 21 ottobre 2023. Trattare i pazienti prima con l’immunoterapia e poi con la target terapia non solo si conferma la strategia migliore per guarire dal melanoma metastatico, ma li protegge anche dall’insorgenza di nuove metastasi cerebrali. La notizia arriva da Madrid nella terza giornata del Congresso Esmo (Società Europea di Oncologia), dove sono stati presentati gli ultimi dati dello studio Secombit coordinato da Paolo Ascierto, direttore del Dipartimento di Melanoma e Immunoterapia dell’Istituto dei tumori Pascale di Napoli. A cinque anni dalla sua prima sperimentazione lo studio dimostra, ancora una volta e ancora di più, di raggiungere la migliore sopravvivenza globale, pari al 57%, per il gruppo che ha incominciato prima l’immunoterapia, rispetto al 45% del gruppo di pazienti che ha iniziato prima la target, e una sopravvivenza libera da malattia pari al 50% dei gruppi con immuno in prima battuta rispetto al 27% del gruppo con target come inizio. Ma la vera novità di quest’anno è che il dato osservato mostra come i pazienti che iniziano il trattamento con la target terapia hanno un rischio maggiore di sviluppare metastasi cerebrali rispetto al gruppo di pazienti che iniziano il trattamento con immunoterapia e del gruppo “sandwich”, laddove per sandwich si intende la sequenza di terapie target (encorafenib e binimetinib) e della combinazione di duplice immunoterapia (nivolumab e ipilimumab) e, solo in caso di progressione, la prosecuzione con terapia target. Di fatto è stata rilevata una progressione intracranica in un totale di 23, 11 e 9 pazienti rispettivamente nel gruppo A (target e poi immuno), gruppo B (immuno poi target) e gruppo C (sandwich). In termini di progressione libera da metastasi cerebrali, questa è stata straordinariamente dell’85% nel braccio “sandwich”, dell’80% nel braccio dell’immuno in prima linea e del 57% nel braccio con la target in prima linea, ovvero una differenza di circa il 30%. Inoltre, dall’analisi dei biomarcatori, è stato osservato che il tasso di insorgenza delle metastasi cerebrali è ridotto nei pazienti con tumori con un carico mutazionale molto alto e nei pazienti con mutazioni inattivanti della molecola JAK (fattore di crescita cellulare).

<Siamo molto soddisfatti di questi risultati. – spiega Paolo Ascierto – Lo studio Secombit, nato cinque anni fa con l’obiettivo di individuare la giusta sequenza di terapie nelle persone con melanoma metastatico che presentano la mutazione del gene BRAF si conferma vincente. A cinque anni dall’avvio, pazienti che hanno iniziato l’immunoterapia hanno raggiunto una sopravvivenza globale pari al 57% (braccio sandwich) e 52% (braccio B) e una sopravvivenza libera da malattia pari al 50%, mentre nei pazienti che hanno iniziato con la target therapy per poi essere trattati con immunoterapia in seguito a progressione, abbiamo osservato una sopravvivenza globale del 45% ed una sopravvivenza libera da malattia pari al 27%.  Ma il dato più importante presentato all’ESMO è la progressione libera da metastasi cerebrali. Iniziare il trattamento con immunoterapia sembra proteggere dall’insorgenza di metastasi cerebrali. Infatti, a 5 anni, nei due bracci dove l’immunoterapia è stata iniziata prima, la sopravvivenza libera da metastasi cerebrali è stata dell’85% (sandwich) e dell’80% (braccio B), mentre nei pazienti che hanno iniziato target in prima linea (braccio A) è stata del 57%, circa il 30% in meno>.

E sempre di immunoterapia si parla a Madrid in un altro studio coordinato dal gruppo di giovani ricercatori coordinati da Paolo Ascierto che ha condotto un’analisi del profile genetico su 78 pazienti affetti da melanoma metastatico e trattati in prima linea con l’immunoterapia. I dati di questo studio (prima firma Domenico Mallardo, ultima Ascierto), confermano il ruolo del NLR come fattore prognostico. L’NLR è il rapporto tra il numero dei neutrofili ed il numero dei linfociti, due diversi tipi di cellule del sistema immunitario. Questo studio ha evidenziato che il numero elevato di NLR (sostanzialmente un maggior numero di neutrofili rispetto ai linfociti presenti nel sangue) si correla principalmente a geni coinvolti in attività immunosoppressorie, infiammatorie e pro-tumorali; in particolare l’NLR è risultato essere correlato direttamente con i neutrofili di tipo N2 associati all’attivazione della via dell’adenosina. Ciò potrebbe spiegare il ruolo prognostico negative dell’NLR nel cancro poiché associate a immunosoppressione e attività pro-tumorale.

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